venerdì 25 marzo 2011

Daniele Silvestri: 'In S.C.O.T.C.H. canto la provvisorietà che ci circonda'

Daniele Silvestri non è (o non è più) un artista frettoloso. Si prende i suoi tempi, pubblica dischi quando ritiene di avere qualcosa da dire (l'ultimo album interamente composto di inediti, "Il latitante", risale al 2007). Il motivo? "Faccio questo mestiere da diciassette anni, a occhio e croce di canzoni ne ho scritte più di duecento. Arrivati a quel punto, se non senti di avere in mano qualcosa che ti entusiasma fai bene a fermarti e a cercare nuovi stimoli". Che nel nuovo album S.C.O.T.C.H., in uscita per Sony Music il 29 marzo, emergono con chiarezza già al primo ascolto: quindici canzoni (più una "ghost track") di umore variabile, bella scrittura e caleidoscopica musicalità. Con qualche comune denominatore sintetizzato in quel titolo curioso, che si presta all'invenzione di diversi acronimi (eccone uno, proposto dall'autore stesso: "Supera Certamente Ogni Titolo Che Ho", i fan sono invitati a sbizzarrire la fantasia e dire la loro sul sito dell'artista). "E' la mia solita passsione per i giochi verbali ed enigmistici che viene fuori", spiega Daniele. "Ma quella parolina rende bene l'idea della provvisorietà che ci circonda, oggi che si cerca di aggiustare tutto alla meno peggio. A cominciare dalla politica, che è diventata una rincorsa continua all'emergenza nel tentativo di riparare disastri che si potevano evitare". E se i concetti di "visione" e di "progetto" non fanno certamente più parte dell'orizzonte politico, Silvestri sembra averli tenuti a mente nella realizzazione di questo album. "Il progetto c'è", annuisce, "ma è ondivago. Non è che ho preso una strada e ho proseguito diritto in tutta sicurezza. Vorrei poterlo dire, ma non è così. Ho dovuto correggere più volte la direzione, in corso d'opera. Ma da un certo punto in poi la strada è diventata chiara, rispetto a tanti miei altri dischi questo è quello che più fortemente ho voluto così. E se ho sbagliato non posso dare la colpa a nessuno, non c'è alcuna giustificazione perché ogni cosa è frutto di una scelta precisa". La sfida più difficile? "Non farsi travolgere dall'attualità. Talmente invadente, di questi tempi, che temevo potesse spingermi a diventare un opinionista, più che un autore di canzoni. E' stato difficile staccarsi da questo mare di parole e di polemiche, riuscire a scrivere qualcosa che avesse una valenza poetica e potesse reggere nel tempo. Il problema, rispetto all'attualità, è stato quello di riuscire a staccarsene abbastanza per non farsene schiacciare. Ad attingere a quella emozione, a quella rabbia, per guardare un po' più lontanto: è una chiave che ho faticato un po' a trovare. Anche dal punto di vista musicale mi sono chiesto cosa potesse permettermi di recuperare energie, di ritrovare il gusto della sperimentazione". Di qui la scelta di suonare rigorosamente dal vivo in studio, con La banda dei "soliti noti" (Piero Monterisi, Maurizio Filardo, Gianluca Misiti, Gabriele Lazzarotti e Ramon Josè Caraballo) che lo accompagna da tempo, e che ha permesso a Silvestri di compilare un'enciclopedia musicale che spazia dalla ballata piano e voce ("Le navi", "Questo Paese") al funk ("Fifty-fifty"), dal rock duro ("Monito(r)") allo ska ("L'appello") e al singolare bolero reggae di "Lo scotch". "Una band è un patrimonio immenso", dice Silvestri. "Mi domando come mai l'ho utilizzato così poco nei dischi precedenti. Ci conosciamo e stimiamo da anni, con i musicisti che mi accompagnano. Insieme siamo tornati al modo tradizionale di lavorare e il risultato è stato sorprendente. Con le persone giuste, sei persone che suonano insieme in presa diretta ti danno un risultato migliore di trenta strumenti sovraincisi. E' una piccola magia che forse puoi ottenere solo così".

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